Care Democratiche e cari Democratici,
ho esitato nell’accettare la candidatura a segretario regionale, perché non sono un uomo politico né voglio diventarlo. Non potrei fare a meno dell’Università e della professione di avvocato, che amo molto entrambe. Vorrei solo, per quel che riuscirò, contribuire brevemente al rilancio del partito democratico in Lombardia, per poi continuare a partecipare solo come semplice cittadino, che fa il mestiere che ha sempre fatto.
Conosco Lele Fiano e Maurizio Martina, che si propongono come leader e ne hanno le qualità. Ma non mi pare che il trovare il leader sia la nostra prima necessità. La nostra prima necessità è un partito che non miri solo a raccogliere consensi elettorali, ma a garantire ad ogni cittadino lo strumento per essere protagonista delle decisioni politiche, in modo collegiale, trasparente, semplice, accessibile.
La Lombardia, per la sua cultura e le sue tradizioni, ha bisogno anzitutto di robuste iniezioni di liberalesimo autentico, di imprese libere, responsabili e proprio per questo capaci di concorrere in condizioni di parità, a cui la politica deve prestare ausilio nell’innovazione tecnico-scientifica e culturale come nello sviluppo, senza per questo pretendere di mettere mano su ogni fatto economico e di piegarlo ai propri disegni, come è accaduto ed accade (tra l’altro riducendo, fin qui, ad un problema meschino di spartizione di potere politico un’occasione importante come quella dell’ EXPO). Ma c’è bisogno anche di valorizzare il contributo che storicamente ha dato e dà il movimento sindacale dei lavoratori al fare grande la Lombardia, arricchendo eguaglianza e coesione sociale, equità e pari opportunità. La politica non deve ostacolare ma assecondare l’autonomia e la libertà delle contrattazioni e delle relazioni collettive tra imprenditori e lavoratori, aiutando le parti sociali a governare i processi di trasformazione, anche internazionali, dell’economia e del lavoro: i problemi di inclusione effettiva nel sistema economico, da quelli delle piccole e medie imprese a quelli dei lavoratori precari, non saranno mai risolti senza che queste realtà, e queste persone, abbiano adeguata ed effettiva rappresentanza sociale e sindacale. L’unità spontanea e libera, l’autoaffermazione delle forze sociali è per sé un valore, soprattutto oggi che la politica è debole e talora arrogante.
Ed occorre anche abbattere steccati ideologici che sono impaccio alla libertà. Credo che il cittadino neppure comprenda le bordate della politica su “laicità” e “laicismo”, che hanno attraversato ed attraversano la Lombardia. E giustamente. E’ incomprensibile che la libertà della fede, della preghiera e di comportamenti eticamente conseguenti ai propri convincimenti religiosi, a cui opportunamente ci richiama spesso la Chiesa ambrosiana, non possano andare di pari passo con la eguale libertà di scelta dei non credenti. Una politica che predica la divisione irreparabile delle coscienze manca alla propria missione di garantire la libertà di tutti.
Ed infine, per stare all’essenziale, i cittadini lombardi hanno esigenza di essere e sentirsi sicuri. Al che certo non serve la moltiplicazione delle polizie locali, la competizione tra le stesse o, ancor meno, il mandare per le strade gruppi di cittadini (le cd. “ronde”), i quali diano ciascuno della sicurezza stessa una propria soggettiva interpretazione, impegnando su questa le forze dell’ordine. Non ci sono scorciatoie: la sicurezza si fa garantendo la legalità per tutti ed ovunque in modo uniforme, con il coordinamento operativo ed unitario dei corpi di polizia, per una vigilanza continua e capillare del territorio. E ciò non solo non impedisce ma presuppone che gli stessi diritti fondamentali di libertà, individuali e collettivi, siano egualmente riconosciuti ad ogni persona, anche e soprattutto se in situazione di disagio sociale o magari venuta in Italia da paesi lontani, per coltivare un sogno di riscatto che è lo stesso coltivato, in passato ed anche oggi nel mondo “globale”, da tanti italiani migranti.
Sono, lo so, considerazioni che appaiono impolitiche, che non guardano ad alleanze immediate ed ai consensi più facili del politicamente corretto. Ma questo è lo specifico del mio contributo al dibattito del partito, in vista della rivoluzione democratica di cui ci parla Ignazio Marino. Vorrei solo aggiungere, rivolgendomi a Fiano e Martina, che sono d’accordo con loro: possiamo cominciare bene, ossia possiamo cominciare dal proposito che, chiunque sia la persona scelta per rappresentare in questa fase il partito democratico, la sosterremo attivamente e lealmente, consapevoli che l’unità di intenti, raggiunta attraverso il confronto plurale delle idee, deve essere la nostra prima risorsa nella battaglia comune che dovremo affrontare.
Milano, 29 luglio 2009
Vittorio Angiolini
Nessun commento:
Posta un commento